
di Gianni Cossu Presidente FCC di Mantova
Eccolo, l’ interrogativo che rende insonni le nostre notti, che toglie fame e sete alle nostre giornate, che ci vuota la mente e ci destina alla più disperata follia! Be’, non esageriamo, però sicuramente abbiamo avuto episodi di vuoto ideativo, di nebbia produttiva, immediatamente successiva alla decisione di impiegare l’ insperato breve periodo di tempo, finalmente libero per …CREARE.
E invece niente. Ma perché? Al di là delle più disparate (e probabili) motivazioni contingenti e occasionali, direi che si può provare a stilare una gracile teorizzazione di questo angusto quesito.
Partiamo dalla concezione romantica di “artista maledetto”: genio solitario e non molto cilindrato, nato, cresciuto e maturato nella sola compagnia del suo fecondo intelletto, capace di dialogare con il suo Io più abissale e di trasformare il proprio sentire in una personalissima espressione artistica. Il tutto, ovviamente, senza la minima preoccupazione di destinare il prodotto a un qualsiasi pubblico e tanto meno (orrore!) di sperare in successo, gloria o denari: gli altri non esistono, esiste solo l’ Arte (come la vede lui…). Quindi uno stereotipo, tuttora con un certo seguito, di Artista/Opera del tutto svincolato, in ogni fase di questo processo, dal rapporto con il mondo circostante.
Il fine di questa mia oziosa dissertazione è provare a dimostrare che la produzione artistica in nessuna fase della propria esistenza può prescindere dall’ “Altro” e che la stessa qualità, quantità e valore della produzione in oggetto può solo avvantaggiarsi dalla accettazione del mondo circostante, non dalla sua estraniazione.
Innanzitutto, ogni forma espressiva, verbale, pittorica, plastica o altro è l’obbligato frutto di una convenzione lessicale (in senso lato) tra esseri umani, il dinamico prodotto di generazioni in divenire che, di concerto, codificano, modificano, innovano un linguaggio espressivo. Ciò che nasce da una collettività, pertanto, già per origini genetiche è logicamente destinato alla stessa, per un baratto che, nei millenni, ha permesso (senza possibili alternative metodologiche) una continua rivitalizzazione e attualizzazione del prodotto stesso. Mi sento quindi di affermare che il valore di un Autore si misura anche nell’ umiltà di riconoscere l’apporto “ombelicale” del Linguaggio degli Altri.
Se il verbo espressivo è quindi frutto di un’azione comune, l’analisi del soggetto che ha ispirato l’ Artista dà adito a considerazioni più ampie. Il momento ideativo è sicuramente un atto assolutamente privato, che origina da un’esperienza personale che può essere del tutto solitaria, anche per decenni, per tutta una vita, senza l’obbligatorietà di una “terzietà” in precedenza dimostrata per la materialità comunicativa della creazione stessa. E’ superfluo aggiungere che il nocciolo ideatore può altresì originare da un vissuto plurale ed essere fin dagli albori il risultato di un’ esperienza comune. Tornando al nostro pensatore solitario, lo costringiamo però ad ammettere la innegabile presenza nella sua vita, parallelamente alla giornata ideativa, di una giornata acquisitiva culturale, indispensabile chiave di varietà, originalità e qualità della sua produzione. Anche i più agresti naives (quelli bravi, intendiamoci…) avevano un minimo di cultura artistica, cioè prescindevano, inconsciamente finché si vuole, dalla conoscenza di opere e teorie precedenti o contemporanee di altri Artisti.
Ecco quindi tornare anche nella fase ideativa la non ignorabile massa della terzietà culturale, tanto inevitabile quanto indispensabile pure nel campo tematico. E ora interviene la mia più radicata convinzione in materia: l’ideazione nata e cresciuta in una scatola stagna solo eccezionalmente può portare a risultati di elevato valore. Le opere altrui ci suscitano forse disprezzo e noncuranza, ma quante volte proviamo ammirazione, invidia, senso (inconfessabile) di emulazione, curiosità di approfondimento tematico? In altre parole, guardo gli altri e riguardo me stesso, e poi la mia ideazione sarà migliore. E mentre competo mi arricchisco, mentre svaluto studio per non cadere nello stesso errore, mentre mi stupisco di fronte a un’idea inedita ho stimolo per crearne una mia, segreta, affascinante e, ovviamente, geniale! Possiamo forse negare la grande qualità artistica di congregazioni di Autori uniti da un manifesto comune, che hanno reso illustre l’umanità e l’Arte? Romanticismo, Bauhaus, futurismo, pittorialismo, cubismo, citando a casaccio, sono chiari esempi che la convivenza e la sana competizione sotto lo stesso cartello sono un’arma non obbligatoria ma sicuramente formidabile per generare capolavori.
L’Arte è anche coraggio di confronto, mentre la monotematica lapidea e immutabile é un comodo, pallido ed eterno bozzolo che ci preserva dall’essere essere istruiti ma anche criticati, in una spocchia patetica che merita soltanto le ragnatele di un decadente oblio sempre più obsoleto e giustificato.
La presenile animosità di queste mie ultime perle ha introdotto e mescolato alla fase culturale della vita dell’ Artista il concetto di destinazione finale dell’opera generata, che, (indovina un po’…) non sarà il benevolo approdo di un destinatario sempliciotto, basilare e magari ( visto che non si vive di solo pane ma anche di salame…) munifico, bensì il pubblico più vasto, preparato e feroce possibile, in nome della competizione che migliora la razza!
E allora questa benedetta creatività, dove cavolo nasce?
Rispondo a pieni polmoni: dal confronto, dall’evidenza dell’errore, dall’applauso, dalla stroncatura corale, dalla voglia di esprimere se stessi perché abbiamo imparato che altri sono simili a noi e che sono credibili giudici di ciò che faccio io come io sono stato promosso a degno giudice di ciò che fanno loro.
L’Arte è un cazzotto o un abbraccio, mai una clausura.
L’ho pensato, l’ho spremuto, l’ho scritto. Ora dormo felice.
Immagine in evidenza © Andrea Danani
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